La base imponibile contributiva ed i redditi derivanti dalla mera partecipazione alle società di capitali

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Negli ultimi anni è divenuta frequente la notifica da parte dell’INPS di avvisi di addebito a contribuenti iscritti alla gestione artigiani con i quali viene ingiunto il pagamento di una somma a titolo di contributi dovuti a percentuale sul reddito eccedente il minimale e relativo alla partecipazione in una società a responsabilità limitata.
L’art. 3-bis del D.L. 19/09/1992, n. 384, convertito con modificazioni dalla L. 14/11/1992 n. 438, ha previsto che «A decorrere dall’anno 1993, l’ammontare del contributo annuo dovuto per i soggetti di cui all’art. 1, L. 2 agosto 1990, n. 233, è rapportato alla totalità dei redditi d’impresa denunciati ai fini IRPEF per l’anno al quale i contributi stessi si riferiscono».
La disciplina previgente era contenuta nell’art. 1 della L. 2/08/1990, n. 233, che prevedeva al primo comma che «A decorrere dal 1° luglio 1990 l’ammontare del contributo annuo dovuto per i soggetti iscritti alle gestioni dei contributi e delle prestazioni previdenziali degli artigiani e degli esercenti attività commerciali, titolari, coadiuvanti e coadiutori, è pari al 12 per cento del reddito annuo derivante dall’attività di impresa che dà titolo all’iscrizione alla gestione, dichiarato ai fini IRPEF, relativo all’anno precedente».
Con la disposizione più recente viene dunque in rilievo «la totalità» dei redditi d’impresa denunciati ai fini IRPEF, non parlandosi più della sola attività che dà titolo all’iscrizione alla gestione ex art. 1 della legge n. 233 del 1990.
Il legislatore ha scelto di distinguere tra elementi sui quali si radica, quale fatto giuridico strutturale, il sorgere della tutela previdenziale in capo al lavoratore autonomo ed elementi ulteriori rispetto ad essi, in relazione ai quali si individua comunque la misura della contribuzione previdenziale dovuta.
Si viene a realizzare un ampliamento della base imponibile contributiva, secondo un mutamento normativo che il legislatore ha inteso perseguire in connessione con il processo di armonizzazione della base imponibile contributiva a quella valevole in ambito tributario.
In virtù di un’interpretazione della menzionata normativa, l’INPS ritiene che i contribuenti iscritti alla gestione previdenziale in quanto svolgenti un’attività lavorativa per la quale sussistono i requisiti per il sorgere della tutela previdenziale obbligatoria, debbano parametrare il proprio obbligo contributivo a tutti i redditi percepiti nell’anno di riferimento, tenendo conto anche di quelli derivanti da partecipazione a società di capitali nella quale non svolgono attività lavorativa.
L’istituto previdenziale richiama il comma 1 dell’art. 3-bis del Decreto Legge 19 settembre 1992, n. 384, convertito, con modificazioni, nella Legge 14 novembre 1992, n. 438, il quale prevede che, per i soggetti di cui all’art. 1 della Legge 2 agosto 1990, n. 233 – e cioè quelli iscritti alle gestioni dei contributi e delle prestazioni previdenziali degli artigiani e degli esercenti attività commerciali, titolari, coadiuvanti e coadiutori -, l’ammontare del contributo annuo dovuto a fini pensionistici “è rapportato alla totalità dei redditi di impresa denunciati ai fini IRPEF per l’anno al quale i contributi stessi si riferiscono” e in tale base imponibile rientrano anche i redditi che il socio consegue per effetto della partecipazione a società di capitali.
La Giurisprudenza prevalente ha però precisato che con il D.L. 384/1992 (L. 438/1992) è stato previsto che a decorrere dal 1993 l’ammontare del contributo annuo è rapportato alla totalità dei redditi d’impresa denunciati ai fini IRPEF nell’anno al quale i contributi stessi si riferiscono e che tra i redditi di impresa non vanno inclusi ai sensi del D.P.R. 917/1986 i redditi del socio di società a responsabilità limitata, stante l’assenza dell’apporto personale presente nella diversa ipotesi del reddito prodotto dal capitale investivo in una società in accomandita semplice (cfr., ex multis, Corte di Appello di Torino, Sezione Lavoro, sentenza n. 404 del 20/10/2020, rel. Dott.ssa Mancuso).
Tale orientamento è stato confermato dalla Suprema Corte che con la pronuncia del 20/08/2019 n. 21540, disattendendo la tesi dell’ente previdenziale, ha affermato il seguente principio di diritto: “Poiché la normativa previdenziale individua, come base imponibile sulla quale calcolare i contributi, la totalità dei redditi di impresa così come definita dalla disciplina fiscale e considerato che secondo il testo unico delle imposte sui redditi gli utili derivanti dalla mera partecipazione a società di capitali, senza prestazione di attività lavorativa, sono inclusi fra i redditi di capitale, ne consegue che questi ultimi non concorrono a costituire la base imponibile ai fini contributivi INPS” (cfr. anche Cass. n. 23792/2019 e Cass. n. 23790/2019 e, da ultimo, Corte di Cassazione, sez. VI Civile – L, ordinanza n. 19001/20, depositata il 14/09/2020).
La Corte di Cassazione ritiene che:

– il legislatore distingue tra gli elementi dai quali deriva il sorgere della tutela previdenziale e quelli in relazione ai quali si individua la misura della contribuzione (intesa come base di calcolo). Quindi, tra i primi la prestazione di attività, tra i secondi la titolarità di qualsiasi reddito di impresa;
– quando la norma cita i “redditi di impresa” non può che riferirsi a una definizione così come fornita dal TUIR;
– la semplice partecipazione ad una S.r.l. non determina l’insorgere di un reddito di impresa, semmai si produrranno redditi di capitale al momento di incasso dei dividendi.

Da ciò deriva che la base sulla quale commisurare i contributi previdenziali è unicamente la quota di reddito della S.r.l. commerciale all’interno della quale il contribuente presta la propria attività lavorativa, mentre non va considerata in alcun modo l’astratta quota di reddito dell’altra S.r.l. nella quale si detiene unicamente la partecipazione.
I giudici di legittimità richiamano la sentenza n. 354/2001 con la quale la Corte Costituzionale ha affermato che nell’ambito delle società in accomandita semplice e in quelle in nome collettivo assume preminente rilievo, a differenza delle società di capitali, l’elemento personale, in virtù di un collegamento inteso non come semplice apporto di ciascuno al capitale sociale, bensì quale legame tra più persone, in vista dello svolgimento di un’attività produttiva riferibile nei risultati a tutti coloro che hanno posto in essere il vincolo sociale, ivi compreso il socio accomandante.
La soluzione, presentata dalla Suprema Corte, risulta quindi del tutto coerente con l’art. 38, II comma, della Costituzione, il quale prevede che la tutela previdenziale spetti ai lavoratori e non a coloro che si limitano ad investire i propri capitali a scopo di utile. Occorre far riferimento alla qualificazione dei redditi secondo il TUIR e, poiché la normativa prevdenziale individua, come base imponibile sulla quale calcolare i contributi, la totalità dei redditi d’impresa così come definita dalla disciplina fiscale e considerato che, secondo il TUIR, i redditi derivanti da mera partecipazione in società di capitali, senza prestazione lavorativa, sono inclusi tra i redditi di capitale, ne consegue che questi ultimi non concorrono a costituire la base imponibile ai fini contributivi INPS.
Alla luce della prevalente Giurisprudenza non può quindi condividersi la pretesa dell’INPS di assoggettare a contribuzione anche i redditi derivanti dalla mera partecipazione dei contribuenti a società di capitali, senza che a tale partecipazione corrisponda la prestazione di un’effettiva attività lavorativa.

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